IL TRIBUNALE

    Visti  gli  atti  e  le  risultanze  dell'udienza  tenuta in data
odierna  presso il Tribunale di Sorveglianza di Bari nel procedimento
instaurato per l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare
ai  sensi  dell'art. 47-ter,  comma 1, lettera a) e c), l.p. proposta
da:  S.  S.  nata  il  26 settembre  1955  in  S. Severo, attualmente
detenuta  nella casa circondariale di Foggia in esecuzione della pena
detentiva  di  cui  alla  sentenza  del g.i.p. presso il Tribunale di
Foggia  del  16 febbraio  1998  e  della  Corte d'appello di Bari del
25 ottobre  2001  (reato  di detenzione a fini di spaccio di sostanza
stupefacente  commesso  nel  1997  e  detenzione a fini di spaccio di
sostanza  stupefacente  in  concorso,  reato  continuato commesso nel
1995; fine pena: 18 settembre 2006);
    Verificata  preliminarmente  la  regolarita'  delle comunicazioni
relative   ai   prescritti   avvisi   al   rappresentante  del  p.m.,
all'interessato e al difensore;

                            O s s e r v a

    Con  ordinanza  di questo Tribunale di sorveglianza del 23 luglio
2002,  veniva  concessa  alla condannata la detenzione domiciliare ai
sensi dell'art. 47-ter, comma 1-bis, l.p. in relazione all'esecuzione
penale  della  sentenza  del g.i.p. presso il Tribunale di Foggia del
16 febbraio  1998,  con  riferimento  ad una pena detentiva di durata
inferiore  ad  anni  due  e  non  relativa  ad  uno  dei reati di cui
all'art. 4-bis  l.p.,  titolo  ad  esecuzione  sospesa  da  parte del
competente organo del pubblico ministero in attesa della decisione di
questo   Tribunale  di  sorveglianza  sul  merito  delle  istanze  di
concessione  di  misure alternative alla detenzione avanzate dalla S.
(affidamento in prova al S. S. detenzione domiciliare).
    In   quell'occasione,   il  Tribunale  di  sorveglianza  riteneva
formulabile  una  prognosi  positiva  riguardo all'esito della misura
detentivo  domiciliare,  rigettando  invece  l'istanza di concessione
dell'affidamento  in prova al S.S. in considerazione della natura dei
procedimenti  penali  pendenti  a  carico  della  S.,  del precedente
fallimento  di analoga misura (revocata in relazione ad altra pena da
parte  di questo Tribunale di sorveglianza in data 9 dicembre 1997) e
del   tenore   non   del   tutto  tranquillizante  del  rapporto  del
commissariato  di  Pubblica Sicurezza di S. Severo del 17 maggio 2002
agli atti di quel procedimento.
    Tra   le  prescrizioni  imposte  alla  detenuta  domiciliare  era
prevista   la   facolta'   di  uscire  del  domicilio  per  il  tempo
strettamente  necessario  a  recarsi  presso  la competente struttura
sanitaria  specializzata  per  le terapie necessarie per se' e per il
figlio  disabile,  con  obbligo di dare avviso all'autorita' preposta
alla  vigilanza  sia prima di uscire dal domicilio sia immediatamente
dopo il rientro nello stesso nonche' di esibire ex post all'autorita'
preposta  alla vigilanza idonea documentazione comprovante l'avvenuto
espletamento  e la durata delle terapie (si confronti la prescrizione
n. 8 dell'ordinanza citata).
    In data 5 agosto 2002, la misura aveva inizio, venendo interrotta
quasi  subito  a causa dell'arresto della S., in data 19 agosto 2002,
per  un  ordine di carcerazione relativo all'esecuzione della pena di
tre anni di reclusione inflitta con la sentenza della Corte d'appello
di Bari del 25 ottobre 2001.
    Conseguentemente,  il  magistrato  di sorveglianza di Foggia, con
decreto  del 20 agosto 2002, sospendeva l'esecuzione della detenzione
domiciliare   ai   sensi   dell'art. 51-bis  l.p.,  essendo  la  pena
complessiva da scontare ampiamente superiore al limite massimo di due
anni stabilito dall'art. 47-ter, comma 1-bis, l.p., e trasmetteva gli
atti  a  questo Tribunale di sorveglianza per la decisione definitiva
in ordine alla prosecuzione o alla cessazione della misura, decisione
intervenuta  con  ordinanza  10 settembre  2002  con  la quale veniva
disposta  la  cessazione  della detenzione domiciliare applicata alla
condannata.
    Il   magistrato  di  sorveglianza  di  Foggia  veniva  nuovamente
investito  della  questione  a  seguito  delle  istanze  avanzate dal
difensore  di  fiducia  della  S., depositate in data 8 ottobre 2002,
volte  ad  ottenere  la  concessione  della detenzione domiciliare ai
sensi  dell'art. 47-ter,  comma 1, lettere a) e c), l.p., istanze che
venivano  respinte in via monocratica e rimesse a questo Tribunale di
sorveglianza   per  la  decisione  definitiva  oggetto  del  presente
procedimento.
    S.  S.  deve  espiare  una  pena detentiva residua (relativa alla
commissione  di reati non compresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis,
l.p.)  inferiore  ai quattro anni di reclusione, essendo il fine pena
attualmente fissato alla data del 18 settembre 2006.
    La   difesa   avanza  istanza  di  concessione  della  detenzione
domiciliare  ai  sensi  dell'art. 47-ter,  comma 1,  lettera c) l.p.,
assumendo  che le condizioni di salute della condannata siano gravi e
comunque  tali da richiedere costanti contatti con i presidi sanitari
territoriali.
    Orbene,  dalla  documentazione  medica depositata dalla difesa ed
acquisita  da  questo Tribunale di sorveglianza emerge la sussistenza
di patologie della S. che, valutate con l'ausilio dell'esperto medico
del  Collegio,  non  paiono  tali da integrare i presupposti previsti
dalla norma in esame - ne' questo collegio reputa necessario disporre
un  accertamento  peritale  sulle  condizioni  di salute dell'istante
essendo  la  documentazione  sanitaria  agli atti sufficiente ai fini
della   presente  decisione.  La  S.,  infatti,  risulta  affetta  da
"cardiopatia  ipertensiva  in  obesa,  spondilosi  lombare,  sindrome
ansioso-depressiva  reattiva" (si confronti la relazione sanitaria di
tali  patologie,  "necessita  di  controlli  specialistici e sostegno
psicologico"  (si  veda  la relazione sanitaria citata) e non di quei
"costanti  contatti con i presidi sanitari territoriali" con riguardo
a  "condizioni  di salute particolarmente gravi" che costituiscono il
piu'   rigoroso  presupposto  sancito  dalla  norma  citata  -  giova
ricordare   che,   tenendo  conto  dell'esigenza  di  tali  periodici
controlli  sanitari,  questo Tribunale di sorveglianza aveva concesso
alla  condannata la facolta' di allontanarsi dall'abitazione, durante
la  fruizione  della  detenzione  domiciliare, nei limiti di cui alla
prescrizione n. 8 dell'ordinanza del 23 luglio 2002.
    La   difesa   invoca   anche   l'applicazione   della  detenzione
domiciliare  ai  sensi  dell'art. 47-ter,  comma 1,  lettera a) l.p.,
prevista  (quando  la  pena  residua  da espiare non superi i quattro
anni)  per  la  condannata  che  sia incinta o madre di prole di eta'
inferiore  ad  anni  dieci  con  lei convivente, reputando tale norma
suscettibile  di  applicazione  in via analogica in bonam partem alla
Scirocco,  madre  di  un  figlio di eta' superiore al limite previsto
dall'articolo citato, ma gravemente disabile, poiche' paralizzato gli
arti  inferiori  (con riconoscimento dell'invalidita' civile totale e
permanente  con necessita' di accompagnamento) ed abbisognevole della
costante  presenza  della  madre  anche  per  compiere le piu' comuni
funzioni  fisiologiche; nemmeno il padre e' in grado di assisterlo in
quanto   ristretto  in  carcere  in  espiazione  di  una  lunga  pena
detentiva.
    Questo  collegio  non  reputa applicabile l'art. 47-ter, comma 1,
lettera  a), legge n. 354/1975 al caso in esame, trattandosi di norma
che,   prevedendo  l'esecuzione  penale  in  forma  alternativa  alla
detenzione,  si  qualifica  come  eccezionale  rispetto  alla  regola
generale  che prevede l'espiazione della pena detentiva in carcere e,
in quanto tale, e' insuscettibile di applicazione analoga, neppure in
bonam partem.
    Tuttavia, questo collegio reputa condivisibile quanto evidenziato
dal  difensore  dell'istante,  con  atto  manoscritto del 19 novembre
2002,  laddove  si  richiede  a  questo  Tribunale di sorveglianza di
"valutare  l'opportunita'  di  porre  una  questione di leggittimita'
costituzionale  in  ordine  al  disposto  dell'art. 47-ter,  comma 1,
lettera  a),  l.p.  (n.d.r.)  nella  parte  in  cui  non  prevede  la
concessione  del  beneficio oltre che nei confronti di madre di prole
di  eta'  inferiore  ai  10 anni, anche nei confronti di genitrice di
figlio  portatore  di  grave  forma  di  handicap  tanto da risultare
invalido  al  100%,  sicche'  da  necessitare della costante presenza
della  madre"  - per quanto la difesa non abbia esplicitato con quale
norma costituzionale assuma esistere il contrasto.
    Invero,  la  norma  in esame e' sospettata di incostituzionalita'
perche'  confligge  con  il principio di uguaglianza e ragionevolezza
sancito   dall'art. 3   della   Costituzione  in  quanto  riserva  un
trattamento  difforme  a  situazioni  analoghe laddove stabilisce che
possa   essere   espiata  in  forma  detentivo  domiciliare  la  pena
detentiva,  inferiore ai quattro anni, inflitta ad una madre di prole
di  eta'  inferiore  ai  dieci  anni, con lei conviventi, e non anche
quando  la  prole  sia  di eta' superiore al limite menzionato, ma, a
causa  di  un'invalidita'  totale  e permanente, sia abbisognevole di
assistenza continua da parte della madre convivente.
    Non   si   vede,  infatti,  come  possa  giustificarsi  una  tale
disparita'  di  trattamento  tra  situazioni  familiari assolutamente
equiparabili:  in  caso  la condannata e' madre di un figlio incapace
perche'  minore  degli  anni  dieci,  ma  con  un  certo  margine  di
autonomia,  almeno  sul piano fisico; nell'altro, la condannata ha un
figlio    totalmente   ed   irreversibilmente   incapace,   ancorche'
maggiorenne,  in  condizioni  psico-fisiche  tali  da  richiedere  la
costante  presenza  della  madre  anche  per  compiere le piu' comuni
funzioni  fisiologiche.  Ed  anzi,  il  figlio  affetto  da  handicap
totalmente  invalidante  ha  la  necessita' di essere assistito dalla
madre ancor piu' di un bambino di eta' inferiore agli anni dieci.
    Giova   considerare   che   il   legislatore,  nel  prevedere  la
concedibilita'  del  beneficio  previsto  dall'art. 47-ter,  comma 1,
lettera  a), legge n. 354/1975, alla madre di prole di eta' inferiore
ai dieci anni, con lei convivente, non ha posto il limite del decesso
o   dell'assoluta   impossibilita'   a  dare  assistenza  alla  prole
dell'altro  genitore  sancito  alla successiva lettera b) del comma 1
dello  stesso  articolo. Ebbene, il ricongiungimento familiare tra la
madre  ed  il  figlio  incapace  viene  favorito  a prescindere dalla
possibilita'  per  il  minore  di  essere affidato ad altri familiari
secondo due possibili finalita':
        1)  quella  di  garantire  al  figlio minore di anni dieci la
vicinanza  costante  proprio della madre, presenza indispensabile per
il regolare sviluppo psico-fisico del bambino e, in tal caso, bene ha
fatto  il  legislatore  ad  escludere  dalla  previsione normativa la
situazione della condannata madre di prole di eta' superiore ai dieci
anni, ma in condizioni di invalidita' fisica totale e permanente tali
da richiedere assistenza continua, poiche' non vi e' necessita' della
presenza  della  madre  al  fine  di  assicurare  la normale crescita
psico-fisica   di   un   figlio   di   eta'   superiore   al   limite
discrezionalmente  fissato dal legislatore nella norma in esame, eta'
oltre  la  quale,  evidentemente,  tale  sviluppo  psico-fisico  puo'
considerarsi gia' compiuto;
        2)   quella   di  assicurare  puramente  e  semplicemente  il
ricongiungimento  familiare  del  figlio  incapace  con  la  madre e,
secondo   questa   interpretazione,   la   norma   de   qua  realizza
ingiustificatamente  un  trattamento diverso e peggiore nei confronti
della  condannata  madre  di  figli  conviventi  che, sebbene di eta'
anagrafica  superiore  al  limite  fissato  dal  legislatore  per  la
concessione della vita a causa di handicap invalidanti.
    La   seconda  interpretazione  della  norma  in  argomento  sopra
riportata  pare  la  piu' condivisibile ove si tenga conto delle piu'
recenti  riforme  dell'Ordinamento  Penitenziario tese a valorizzare,
quando   possibile,  il  ricongiungimento  familiare  attraverso  due
istituti,  non  a  caso  applicabili  anche  nei  confronti del padre
detenuto,  qualora  la  madre sia deceduta o impossibilitata e non vi
sia  modo  di  affidare  la  prole  ad  altri  che al padre, istituti
introdotti dalla legge n. 40/2001:
        la     detenzione     domiciliare     speciale    ai    sensi
dell'art. 47-quinquies l.p. concedibile, se vi e' la "possibilita' di
ripristinare  la  convivenza  con  i figli" e quando non ricorrano le
condizioni di cui all'art. 47-ter l.p. (e, dunque, la pena sia durata
superiore ai quattro anni), alla madre di prole di eta' non superiore
ad  anni  dieci,  norma  che  ha  esplicito  riferimento  "al fine di
provvedere alla cura e alla assistenza dei figli";
        l'assistenza all'estero dei figli minori ex art. 21-bis l.p.,
norma  che  consente  alle  condannate  ed  alle  internate di essere
ammesse  alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di eta' non
superiore agli anni dieci.
    Alla  luce  delle  considerazioni  sin  qui  svolte,  ritenuta la
rilevanza  dell'applicazione  della  norma citata nel procedimento de
quo  -  applicazione  che  potrebbe comportare la scarcerazione della
condannata per espiare la pena in forma alternativa alla detenzione -
questo  collegio  reputa non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 47-ter,  comma 1, lettera a),
legge  n. 354/1975,  per  contrasto  con l'art. 3 della Costituzione,
nella  parte  in  cui  non prevede la concessione del beneficio della
detenzione  domiciliare, oltre che nei confronti di madre di prole di
eta'  inferiore  ai  10 anni, con lei convivente, anche nei confronti
della  condannata madre di figlio convivente portatore di grave forma
di  handicap  tanto  da  risultare  invalido al 100% e da necessitare
della costante presenza della madre, senza limite di eta'.
    Di  conseguenza,  conformemente al dettato costituzionale ed alla
legge  n. 87/1953, questo collegio ritiene necessario investire della
questione   la  Corte  costituzionale  cui  gli  atti  devono  essere
trasmessi, previa sospensione del procedimento in corso.